Il 2023 ha visto l’ascesa di una stagione degli uragani senza precedenti nel Pacifico. Otto, di categoria 3 o superiore si sono scatenati, quasi il doppio della media attesa per la stagione. Cinque di loro hanno sfiorato la categoria 4, due hanno abbracciato la categoria 5, una furia senza precedenti che ha catapultato l’indice Accumulated cyclone energy (ACE) a livelli impressionanti.
Tra questi, c’è un nome che ha lasciato un’impronta indelebile: Otis.
Un’anomalia che ha trasceso le leggi meteorologiche, diventando un mostro inarrestabile nell’arco di un’infinitesimale frazione di tempo.
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Otis: l’ultimo “re degli uragani”
Uragani. Ultimo per forza esplosiva, Otis ha fatto registrare il suo epicentro nelle vicinanze di Acapulco, (Messico) il 25 ottobre.
Nel 1951, l’uragano Easy aveva devastato la zona. Tuttavia, il più terribile fu Pauline nel 1997 che, pur non colpendo direttamente Acapulco, portò morte e distruzione, con un bilancio di oltre 500 vittime.
Naturalmente, è noto che il Messico sia soggetto a siffatti fenomeni metereologici, ma Otis non è arrivato come un uragano qualsiasi.
Il National Hurricane Center ha inciso il suo nome nei libri della storia meteorologica: una furia di categoria 5, con venti che ululavano a 315 km orari, pronto a spazzare via ogni cosa sul suo cammino.
Cosa sarà successo? Se ne poteva prevedere la portata? Addentriamoci nella misteriosa storia dell’uragano.
Una storia fuori dall’ordinario
A lasciare di stucco, l’inspiegabile metamorfosi di Otis, da banale tempesta tropicale a mostruosa creatura di categoria 5, in sole 24 ore.
Otis, pur possente, era stato considerato, almeno inizialmente, un “nano” nel regno degli uragani.
Poi l’improvviso tasso di crescita che, per il National Hurricane Center, ha segnato il secondo più alto tasso mai registrato nell’emisfero occidentale, dopo l’uragano Patricia, nel 2015 (325 km orari).
Si poteva prevedere la tragedia?
Mancanza di avvertimenti o errori nel monitoraggio?
Otis non ha colpito senza avvertimenti. Il National Hurricane Center aveva monitorato attentamente la costa di Guerrero, compresa Acapulco, a partire da lunedì 23 ottobre, lanciando un’allerta uragani.
Il mattino seguente, sempre il centro aveva proiettato un quadro diverso. Il modello previsionale SHIPS suggeriva un uragano di categoria 1, con venti sostenuti fino a 144 km orari, nell’arco di 12 ore.
Poi, il piano d’azione, attraverso dei voli di ricognizione raccolti dai temerari Hurricane Hunter, e con il supporto di un radar meteorologico Doppler.
Nulla tuttavia lasciava presagire l’imminente disastro, probabilmente perché, persino i modelli di previsione più avanzati, non lasciavano prevedere né la portata, nè la traiettoria dell’uragano.
Alcuni, erroneamente, lo relegavano in mare aperto, un comportamento tipico degli uragani in quelle acque, ingannando le aspettative degli esperti.
Conseguenze? La corsa precipitosa di Otis non solo ha preservato la sua potenza, ma ha lasciato la popolazione impreparata a fronteggiare una tempesta notturna molto più feroce del previsto.
Oltre a gettare nel panico chi si trovava nei pressi dell’aeroporto di Acapulco, è stata Isla Roqueta, posizionata sul lato ovest di Acapulco, a registrare l’ira di Otis.
Quanto alle vittime, il bilancio è stato di 45 morti e 47 dispersi.
Cosa è successo: spieghiamo il fenomeno
Ma perché Otis si è trasformato in una belva così implacabile?
La chiave di questa metamorfosi risiede nelle acque profonde, dove, nei giorni “incriminati”, la temperatura oscillava tra i 30 e i 31 gradi Celsius, superando di un grado la media del periodo dal 1991 al 2020.
A causarla, El Niño, un fenomeno climatico periodico che provoca un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale in media ogni cinque anni. Cosa succede quando l’acqua si surriscalda?
L’oceano, quando raggiunge una temperatura sufficientemente alta, diventa una sorta di caldaia. L’acqua evapora, trasformando il calore in una forza potente, mentre la pressione atmosferica scende, generando venti impetuosi. L’umidità dell’aria all’interno della tempesta, si trasforma poi in una bomba d’acqua pronta a esplodere. L’aria calda e umida crea infatti un ambiente fertile all’interno dell’uragano, alimentandolo con l’energia necessaria per la sua crescita spaventosa.
Ma la vera protagonista dell’intensificazione di Otis è una cosiddetta “corrente a getto”, intrappolata nella corrente d’aria a nord dell’uragano. Di cosa si tratta? Parliamo di una corrente stretta, forte e concentrata lungo un asse quasi orizzontale, situata nella troposfera superiore e nella stratosfera, caratterizzata da un forte gradiente verticale e laterale dell’intensità del vento che presenta uno o più massimi di velocità.
In sintesi, mentre Otis raccoglieva il calore umido dalla superficie e lo proiettava in alto, i potenti venti di questa corrente, lo alimentavano, potenziandolo.
“Tutti i fattori devono allinearsi“, spiega il meteorologo Brian Tang. E ahimè, questo è quanto accaduto a ottobre.
Un futuro incerto: tutta colpa del riscaldamento globale…
Uno studio condotto nel 2016, dallo scienziato esperto in uragani Kerry Emanuel del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge (MIT), ha gettato luce sul fenomeno e sulle conseguenze future.
Analizzando, attraverso modelli computerizzati, ben 22.000 tempeste tra il 1979 e il 2005, e facendo una proiezione futura, Emanuel prevede che nei prossimi anni assisteremo a fenomeni sempre più violenti.
Ad esempio, alla fine del XX secolo, l’intensificazione di un uragano di 180 km/h o più orarie o più, nelle 24 ore precedenti al suo approdo, rappresentava un evento rarissimo, un’occasione che si presentava solo una volta ogni cento anni. A causa del cambiamento climatico, nel 2100 uragani di tale portata i potrebbero verificare in media ogni cinque-dieci anni.
Metropoli come Houston, New Orleans, Tampa/St. Pietroburgo e Miami, sarebbero fortemente interessate dalla potenza devastante.
Dobbiamo preoccuparci?
Raccogliere dati precisi e tracciare i movimenti di queste potenti forze della natura è come cercare un ago in un pagliaio. Gli scienziati, tuttavia, non si arrendono: nuovi metodi sono in fase di sviluppo per avvertire con più precisione e rapidità delle minacce in agguato.
Il futuro potrebbe essere racchiuso nei dettagli: dai dati satellitari, ai droni, alle letture delle boe oceaniche, ogni minima informazione potrebbe essere la chiave per capire quando un uragano si trasformerà in una tempesta infernale.
Queste nuove tecnologie, potrebbero essere la chiave per anticipare le metamorfosi delle tempeste.
Quanto all’uomo, se solo si facessero degli sforzi seri in direzione di una reale transizione ecologica, probabilmente eventi come questi avrebbero una portata catastrofica inferiore.
Otis è stato solo un’anteprima del caos imminente? Un promemoria umile della nostra limitata comprensione? O un punto di partenza verso un futuro più sostenibile? Bella domanda…