Cosa sono i danni esistenziali e come si calcolano? Il danno esistenziale è un danno non patrimoniale insieme al danno morale, catastrofale e biologico. Non rientra nella sfera della salute ma risulta comunque tangibile.

Nel corso degli anni la giurisprudenza ha considerato in modo diverso questa componente del danno non patrimoniale. Facciamo un excursus e capiamo meglio le differenze tra danno morale e danno esistenziale e il carattere unitario del danno non patrimoniale.

L’UPIDSA Università Popolare Internazionale Diritto, Scienza e Ambiente APS forma personale tecnico specializzato in diritto risarcitorio, con un particolare focus su ambiente e salute a 360°, compresa quella psicologica. Le vittime di terrorismo, di mobbing, di errore medico e di esposizione ad amianto e ad altri cancerogeni hanno diritto al risarcimento integrale dei danni subiti tra cui quelli esistenziali.

Cos’è il danno esistenziale: una definizione

Cos’è il danno esistenziale? Il danno esistenziale è un danno arrecato all’esistenza, che si traduce in un peggioramento della qualità della vita, pur non essendo inquadrabile nel danno alla salute. Consiste nell’alterazione delle abitudini e degli assetti relazionali propri dell’individuo, all’interno e all’esterno del nucleo familiare, con modificazioni negative delle modalità di espressione e realizzazione della personalità nel mondo esterno.

Lo si è definito anche come “il danno alle attività realizzatrici della persona umana”, “il perturbamento dell’agenda quotidiana”, “la rinuncia forzata ad occasioni felici”. È quindi la lesione alla possibilità di accedere a tutti gli intrattenimenti e a quelle attività tipiche che realizzano la persona umana, fatta eccezione per le attività illecite o immorali. A differenza del danno morale, quello esistenziale ha effetti tangibili, concreti, visibili dall’esterno e comporta l’impossibilità di svolgere attività abituali.

La definizione dei danni esistenziali secondo la Cassazione

Questo pregiudizio racchiude tutte le lesioni dei valori fondamentali della propria esistenza. Quindi comprende tutto ciò che può provocare forti disagi e alterazioni della personalità nella vittima. Gli effetti negativi si manifestano nella qualità della sua vita sociale e delle sue abitudini personali.

Infatti, secondo la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 2217/2016, il danno esistenziale può essere riconosciuto solo se:

  • il fatto è lesivo di diritti inviolabili costituzionalmente tutelati;
  • la lesione risulta di un certo rilievo;
  • il danno non corrisponde a mero disagio o fastidio.

Ciò è ribadito anche dalla sentenza della Cassazione del 11 novembre 2008, n. 26972, la quale chiarisce che qualora “nel danno esistenziale si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all’art. 2059 c.c.“.

Chi ha diritto al risarcimento dei danni esistenziali?

Come viene misurato il danno esistenziale? Il danno esistenziale rientra nella categoria del danno non patrimoniale (articolo 2059 del Codice Civile) ed è soggetto a risarcimento indipendentemente dalle sue implicazioni sulla capacità reddituale (articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private).

Tuttavia, nel corso degli anni, data la sua natura, la giurisprudenza non ha sempre riconosciuto la legittimità del risarcimento del danno esistenziale.

Spetta alla parte danneggiata dimostrare in modo concreto e oggettivamente verificabile il pregiudizio subito. Successivamente, data la natura soggettiva del danno e l’assenza di una normativa uniforme, spetta al giudice valutare caso per caso la presenza del danno e determinarne l’entità del risarcimento.

Riconoscimento dei danni esistenziali: la posizione della giurisprudenza

Dato il carattere soggettivo del pregiudizio di natura esistenziale, come già menzionato, non esiste una legislazione uniforme in materia. Nel corso degli anni, la giurisprudenza si è divisa riguardo al riconoscimento o meno del risarcimento del danno esistenziale.

Ad esempio, nel 2016, la Corte di Cassazione inizialmente escludeva l’autonomia risarcitoria di tale categoria. “Nel nostro sistema giuridico, non è accettabile considerare il danno esistenziale come una categoria autonoma di pregiudizio riguardante attività non remunerative dell’individuo. Qualora questa categoria includa danni derivanti da violazioni di interessi costituzionali dell’individuo o da reati, essi sono già risarcibili secondo l’articolo 2059 del Codice Civile, interpretato in linea con la Costituzione. Pertanto, la valutazione di ulteriori danni comporterebbe una duplicazione del risarcimento” (Corte di Cassazione, sentenza n. 336 del 13 gennaio 2016).

Tuttavia, pochi mesi dopo, la stessa Corte di Cassazione ha messo in discussione la completezza del danno biologico. Il Giudice relatore, considerando le ricerche psicologiche e psichiatriche, ha riconosciuto l’autonomia concettuale e risarcitoria del danno morale e del danno esistenziale.

Il primo è associato a una condizione emotiva interna, mentre il secondo riguarda il modo in cui un individuo percepisce se stesso in relazione agli altri (Corte di Cassazione, sentenza n. 7766 del 20 aprile 2016).

Principali differenze tra danno morale ed esistenziale

Inseriti nella stessa categoria del danno non patrimoniale, il danno morale e quello esistenziale si differenziano nettamente. Il danno esistenziale è tangibile, concreto e visibile dall’esterno. Inoltre comporta l’impossibilità di svolgere attività abituali. Invece un danno morale rappresenta una sofferenza interiore della vittima.

Perciò il danno morale non è assorbito nel danno esistenziale e viceversa. Si tratta di due voci autonome, non sovrapponibili, e andranno considerate distintamente (Cass., III Sezione Civile, sentenza 2788/2019).

Come avviene il calcolo del risarcimento dei danni esistenziali?

Per quanto riguarda il calcolo del risarcimento, in base alle decisioni della Corte di San Martino del 2008, il danno non patrimoniale è considerato unitario, il che implica che le sue componenti non possono essere risarcite separatamente.

“Il danno biologico (ovvero la lesione alla salute), quello morale (ossia la sofferenza interna) e quello dinamico-relazionale (esistenziale, consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile quando l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente distinti e tutti risarcibili; tale conclusione non contrasta con il principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, poiché tale principio richiede una valutazione complessiva del danno, ma non una valutazione separata dei suoi effetti” (Cassazione, decisione n. 10414/2016).

La valutazione del risarcimento avviene attraverso criteri equi (Cassazione, decisione n.19963 del 2013) e segue i criteri stabiliti dalle Tabelle del Tribunale di Milano. Tuttavia, in circostanze eccezionali, il giudice può decidere di aumentare l’importo del risarcimento attraverso la personalizzazione.

La personalizzazione del danno esistenziale

Secondo quanto stabilito dall’art.138 del Codice delle assicurazioni private, qualora le lesioni macropermanenti, cioè superiore a 9 punti d’invalidità, incidano in maniera considerevole e rilevante sui suoi aspetti dinamico-relazionali, il risarcimento del danno non patrimoniale previsto dalle tabelle di Milano può essere incrementato dal giudice fino al 30%. Invece, per le lesioni micropermanenti, cioè inferiori a 9 punti d’invalidità, il giudice ha la possibilità di aumentare l’importo per danni esistenziali fino al 20%.

Come si dimostra il danno esistenziale?

Spetta al danneggiato l’onere di provare in modo tangibile e oggettivamente accertabile il pregiudizio subito.

La tipologia di pregiudizio esistenziale non è determinabile attraverso una perizia medico legale e non è quantificabile attraverso valori percentuali, come nel caso dell’invalidità permanente. Quindi spetta al danneggiato l’onere di provare in modo tangibile e oggettivamente accertabile il danno subito.

Nell’ambito della responsabilità civile, per l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria. Invece è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica.

Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne risulti conseguenza “altamente probabile e verosimile“, secondo la regola del “più probabile che non. La Cassazione lo ribadisce anche con la sentenza numero 35228, del 30 novembre 2022.