In questa guida sul siritto risarcitorio ci occupiamo di danno tanatologico. Sulla risarcibilità di questo tipo di danno c’è un dibattito in corso che protende verso l’impossibilità di ottenerne il risarcimento.

Vediamo nel dettaglio in cosa consiste il danno tanatologico e cosa dice la giurisprudenza in merito.

L’UPIDSA Università Popolare Internazionale Diritto, Scienza e Ambiente APS si occupa di formare un personale tecnico specializzato in diritto risarcitorio con un particolare focus su ambiente e salute a 360°, compresa quella psicologica. Le vittime illeciti hanno diritto al risarcimento integrale dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali. In caso di decesso della vittima sono i familiari eredi legittimi ad averne diritto.

Cos’è il danno tanatologico: una definizione

Il danno tanatologico è definito come la sofferenza patita dal defunto prima di morire, a causa delle lesioni fisiche derivanti da un’azione illecita compiuta da terzi. Questo pregiudizio può essere definito anche danno da perdita della vita. Sussiste in caso di decesso avvenuto senza apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte. In questo modo si può presumere che la morte sia esclusivamente effetto della lesione subita.

Consiste quindi nella perdita del bene vita, autonomo e diverso dal bene salute, un valore dell’esistenza del danneggiato, immateriale o non direttamente monetizzabile. Infatti è compreso nella categoria del danno non patrimoniale (ex art. 2059 c.c.).

Il diritto alla vita è espressamente riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), dalla CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950) e dai Patti internazionali sui diritti civili e politici (1966). Inoltre, in Italia, il bene vita trova un’implicita legittimazione negli artt. 2 e 32 della Costituzione.

Come già accennato, non è universalmente accettato nel suo principio costitutivo e nei suoi effetti civili, soprattutto ai fini del risarcimento. Infatti l’orientamento maggioritario non condivide l’esistenza del danno tanatologico, in quanto mancherebbe un titolare del diritto al risarcimento, dato che il soggetto leso è deceduto e il diritto al ristoro non sarebbe trasmissibile agli eredi.

La giurisprudenza sulla risarcibilità del danno tanatologico

Il tema particolarmente dibattuto è se il diritto al risarcimento del danno tanatologico possa essere trasmissibile agli eredi. Ovviamente, a seguito della morte di una persona, causata dalla condotta illecita altrui, le persone vicine alla vittima hanno diritto, provandone l’esistenza, al risarcimento del danno alla propria integrità psico-fisica, patita a causa dell’evento luttuoso che li ha colpiti.

Secondo l’orientamento maggioritario mancherebbe un titolare del diritto al risarcimento del danno da morte, dato che il soggetto leso è deceduto e il diritto al ristoro non sarebbe trasmissibile agli eredi. Infatti il danno derivante dalla perdita in sé del bene della vita è fruibile solo dal titolare, la vittima primaria.

Esso sarebbe perciò insuscettibile di essere liquidato per equivalente. Pertanto deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico.

A tal proposito la Cassazione civile, sez. un. 22 luglio 2015 n. 15350,  ha stabilito che “nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis. Se, infatti, è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone necessariamente l’esistenza di un soggetto di diritto“.

Al contrario, Cassazione civile, sentenza n. 15706 del 2 luglio 2010 dichiara che la lesione dell’integrità fisica con esito letale è configurabile come danno risarcibile agli eredi solo se sia trascorso un lasso di tempo apprezzabile tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte.

La giurisprudenza che nega la risarcibilità del danno tanatologico

Anche la Cassazione civile, Sez. III, 20292/2012 ha stabilito che: “è da escludere la configurabilità del danno tanatologico (o da morte) qualora il decesso coincida sostanzialmente con il momento della lesione personale“.

Ciò è ribadito anche dalla Cassazione nella sentenza 5056/2014, precisando che: “nel nostro ordinamento, risarcibile è non già la lesione in sé di un interesse giuridicamente tutelato (danno evento), quanto piuttosto solo il pregiudizio concretamente sofferto dalla vittima in conseguenza di detta lesione (danno conseguenza). Quello della perdita della vita costituirebbe danno risarcibile ex sé nella sua oggettività a favore della persona offesa“.

Infine le Sezioni Unite, con la sentenza 15350/2015, hanno disposto che il presupposto per il risarcimento del danno da perdita della vita sarebbe la “capacità giuridica riconoscibile soltanto a un soggetto esistente” (ex art. 2, c.c.).

Perciò il calcolo danno da morte prevede un’entità in sé non risarcibile. “In caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente“.

Inoltre la sentenza chiarisce che, quando il decesso si verifica immediatamente o dopo breve tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis perché:

  • il soggetto al quale è collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio è assente;
  • vi è la mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

Quali sono i danni risarcibili agli eredi della vittima deceduta?

I superstiti del defunto potranno agire in giudizio non solo il danno iure proprio per i pregiudizi direttamente sofferti, ma anche iure hereditatis per quelli patiti dal coniuge in vita. Nei danni iure hereditatis possono essere compresi anche il danno biologico terminale e il danno catastrofale.

In particolare il danno biologico terminale, riferito ai giorni intercorsi tra la data delle lesioni e quella del decesso. Ciò è possibile solo quando la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore.

Invece il danno morale terminale o danno catastrofale consiste nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dover morire. Perciò è risarcibile solo se la vittima è in grado di comprendere che la propria fine è imminente, oltre alla presenza di un lasso di tempo.