In questa guida arliamo del cromo, una sostanza tossica che provoca danni alla salute degli esposti. Vediamo quali sono le categorie di lavoratori a rischio e quali sono le tutele previste dalla legge.

Vediamo nel dettaglio quali sono le malattie professionali correlate all’esposizione e in generale i danni alla salute che provoca nel dettaglio.

Cromo: cos’è e dove si trova

Il cromo, un elemento chimico identificato dal simbolo Cr nella tavola periodica, deriva il suo nome dal termine greco chromos, che significa “colore”. Questo nome richiama la varietà cromatica dei composti chimici noti per le loro tonalità brillanti.

La scoperta risale al 1797, quando il chimico L. N. Vaquelin riuscì a isolarlo riscaldando l’ossido di cromo (CrO₃) estratto da un minerale chiamato crocoite o “piombo rosso di Siberia”. Nonostante la sua presenza sia limitata nella crosta terrestre, dove costituisce solo lo 0,02%, è trovato principalmente in minerali come la cromite (FeOCr₂O₃) e la crocoite (PbCrO₄). Le forme più stabili del cromo sono il trivalente (Cromo III) e l’esavalente (Cromo VI).

Usi e applicazioni del Cromo: quali sono?

Il Cromo III, considerato un elemento essenziale per il metabolismo umano, interviene nella regolazione del glucosio e nell’attività dell’insulina. Tuttavia, il VI è noto soprattutto per le sue applicazioni industriali, molte delle quali legate a settori come la lavorazione dell’acciaio, la galvanizzazione, la concia delle pelli e la produzione di prodotti cromati.

Le attività umane, come la combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale), rappresentano una significativa fonte di emissioni nell’ambiente. Questo composto viene ampiamente utilizzato per rivestimenti decorativi e protettivi, nella produzione di leghe, come conservante per il legno, e persino nell’industria cosmetica e farmaceutica. Nonostante in Europa l’uso di alcuni prodotti al cromo sia stato limitato, altrove è ancora impiegato in numerosi processi.

Esposizione dannosa e impatti sulla salute

Il contatto con il cromo può avvenire attraverso diverse vie:

  • Inalazione: soprattutto per i lavoratori esposti in industrie che utilizzano il Cr VI, o per chi vive nelle vicinanze di tali impianti. Il fumo di tabacco è un’ulteriore fonte di esposizione.
  • Ingestione: attraverso acqua e alimenti contaminati, con il Cr III presente naturalmente in alimenti come frutta, verdura e carne.
  • Contatto cutaneo: rischio comune per chi lavora con materiali che contengono questo composto, come pelli conciate, legno trattato o fertilizzanti.

Mentre il Cr III è generalmente meno tossico e considerato sicuro a basse dosi, il Cr VI è riconosciuto come altamente pericoloso. La sua inalazione può causare danni significativi, inclusi tumori polmonari, e il contatto prolungato può provocare sensibilizzazioni cutanee e dermatiti.

Riconoscimento legale del Cromo VI come cancerogeno

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato i composti di Cromo VI nel Gruppo 1, indicando che sono cancerogeni per l’uomo. Gli studi hanno collegato questa forma a tumori del polmone e delle cavità nasali, con possibile rischio anche per altre vie di esposizione come l’ingestione e il contatto cutaneo.

Nello specifico l’ha inserito tra i cancerogeni per l’uomo (Gruppo 1) basandosi su prove sufficienti. Oltre al cancro ai polmoni, e sono stati riscontrati collegamenti positivi tra l’esposizione ai composti di Cr VI e il cancro al naso e ai seni nasali.

Anche se i composti di Cromo VI sono associati all’insorgenza di tumori tramite l’inalazione, non è escluso che possano causare il cancro anche in caso di esposizione ripetuta attraverso ingestione o contatto cutaneo.

Nel caso dell’ingestione, la tossicità può essere ridotta grazie all’assorbimento limitato e alla conversione in Cr III all’interno del tratto gastrointestinale. Considerazioni simili si applicano anche all’esposizione cutanea.

Per i composti di Cromo VI, a causa della loro potenziale tossicità genetica, non è possibile identificare un livello di soglia al di sotto del quale non si verificano effetti cancerogeni.

Il Cromo III, invece, pur essendo molto meno tossico, può causare reazioni allergiche in individui sensibili. Tuttavia, non è considerato cancerogeno e svolge un ruolo essenziale per il benessere umano.

Regolamentazioni e limiti consentiti secondo la legge

In Italia, un Decreto Ministeriale del 2016 ha fissato un limite di 10 microgrammi per litro (µg/L) per il Cromo VI nelle acque destinate al consumo umano, aggiungendosi al limite generale di 50 µg/L per il cromo totale stabilito dalla Direttiva 98/83/CE.

A livello europeo, il Regolamento (UE) 2020/1245 impone restrizioni sull’uso di questo composto nei materiali plastici a contatto con alimenti, fissando un limite di migrazione specifica di 0,01 milligrammi per chilogrammo. Per il Cromo VI, la normativa prevede un limite di esposizione professionale di 0,005 mg/m³, obbligando le imprese a seguire misure di gestione del rischio e a richiedere autorizzazioni specifiche per l’uso di composti come il triossido di cromo.

Normative per la Sicurezza e Restrizioni

Il Regolamento REACH dell’Unione Europea vieta l’uso di alcuni composti di Cromo VI, come il triossido di cromo, a meno che non siano specificamente autorizzati. Inoltre, esistono restrizioni per articoli in cuoio e cemento contenenti Cromo VI, per proteggere sia i lavoratori che i consumatori. Ad esempio, gli articoli in cuoio con concentrazioni superiori a 3 mg/kg non possono essere messi in commercio, e i preparati a base di cemento devono contenere meno dello 0,0002% di Cromo VI idrosolubile.

Cromo e Malattie Professionali nelle liste INAIL

Il Cromo VI è incluso nelle liste INAIL delle sostanze cancerogene. Le lavorazioni che comportano un rischio significativo includono:

  • Concia dei pellami.
  • Produzione di pigmenti per vernici e inchiostri.
  • Trattamenti galvanici e cromatura.
  • Saldatura di acciai inossidabili.
  • Produzione di batterie.

I tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali causati dall’esposizione al Cromo VI sono classificati in Lista II (limitata probabilità di origine professionale), mentre i tumori ai bronchi e ai polmoni sono elencati in Lista I, per i quali vige una presunzione legale di origine professionale.

Ciò significa che, in caso di malattia, il lavoratore deve solo dimostrare di aver svolto una lavorazione a rischio per ottenere il riconoscimento e l’indennizzo.

Quali sono i limiti per l’esposizione professionale?

I composti di Cromo VI, classificati come cancerogeni conformemente alla Direttiva 2004/37/CE, sono soggetti a un limite di esposizione professionale di 0,005 milligrammi per metro cubo (mg/m3).

All’interno dell’Unione Europea, il Regolamento REACH (CE n 1907/2006) impone misure di gestione del rischio che vietano l’uso di alcuni composti di Cromo VI (triossido di cromo, dicromato di potassio e cromato di sodio) a meno che siano specificamente autorizzati.

Viene inoltre imposta una restrizione sugli articoli in cuoio e gli articoli con parti in cuoio che possono venire a contatto con la pelle dei consumatori o dei lavoratori e sul cemento.

Per quanto riguarda gli articoli in cuoio, la restrizione mira a ridurre il rischio di sensibilizzazione cutanea causata dal contatto diretto o indiretto con articoli in cuoio o prodotti che contengono parti in cuoio con Cromo VI. Gli articoli contenenti Cromo VI in concentrazioni pari o superiori a 3 milligrammi per chilo (mg/kg – 0,0003% in peso) del peso totale a secco del cuoio non possono essere messi in commercio.

Per il cemento e i preparati a base di cemento, non possono essere commercializzati o utilizzati se contengono più dello 0,0002% di Cromo VI idrosolubile rispetto al peso totale a secco del cemento una volta mescolato con acqua.

Tutela legale in caso di esposizione

Gli esposti al cromo per ragioni lavorative hanno diritto a tutta una serie di tutele. Per i dipendenti del settore privato o pubblico assicurato con l’INAIL c’è la malattia professionale. Il riconoscimento dà diritto alla rendita o indennizzo INAIL e ad altre prestazioni erogate dall’ente. I dipendenti del servizio pubblico non privatizzato hanno diritto alla causa di servizio e in alcuni casi allo status di vittime del dovere.